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Lo sheol (שְׁאוֹל, she'ol) nella Bibbia, "l'inferno" secondo l'antica concezione ebraica post mortem.

Chi di voi si è mai approcciato al I capitolo della Genesi con l'intento di discernere il significato contenuto in esso? I cosiddetti sei giorni della creazione sono giorni letterali oppure sono simbolici? La creazione narrata nella scrittura è inquadrata all'interno di una specifica "cosmogonia" ebraica? e se sì, com'è rappresentata e quali sono le sue parti? Questi quesiti che ad una prima istanza potrebbero sembrare tautologici, in realtà vanno indagati seriamente e approfonditi calandosi nel contesto in cui la Bibbia è stata scritta e secondo la mentalità mediorientale degli scrittori. In questo articolo non tratterò nello specifico della narrazione biblica (di cui farò una disamina a parte in futuro), bensì dello sheol (שְׁאוֹל, pron. she'ol) o altresì tradotto impropriamente (almeno secondo il significato che ha assunto nella cristianità) come inferno, ovvero quel luogo sotterraneo della cosmogonia ebraica inaccessibile ai viventi. Occorre difatti sapere che nell'antichità le credenze degli ebrei circa un'aldilà post mortem erano molto simili a quelle dei popoli circostanti che abitavano il medioriente nell'epoca in cui la Bibbia cominciò a essere messa per iscritto circa 3000 anni fa. Per l'appunto, come menzionato precedentemente, gli israeliti pensavano che dopo la morte le persone discendessero nello sheol (שְׁאוֹל, she'ol; ᾅδης, hadēs) un luogo (vedi l'immagine) che secondo la concezione dell'universo ebraica era situato nelle profondità della terra appena sopra le fondamenta della stessa, sommerso dalle acque e sotto al quale vi era solo il grande abisso (in Genesi I si narra del firmamento che separa le acque che sono al di sopra dalle acque che sono al di sotto). Lo sheol può essere anche inteso come descrizione del luogo fisico dove è collocato il proprio corpo: un luogo freddo, buio, umido, isolato dove non accade alcunchè. Giobbe, nell'omonimo libro, descrive lo sheol come una terra oscura e inghiottita dalle tenebre (Giobbe X:21–22) e siccome è conosciuto anche come luogo di decadenza (Isaia XIV:11) il termine sheol è usato nella scrittura in modo intercambiabile con i vocaboli "fossa" (בְּאֵר, be'er) e "distruzione" (אֲבַדּוֹן, avaddon). I morti che vi scendono sono resi muti e incapaci di lodare il SIGNORE (ndr. nella traduzione della Nuova Riveduta traduce il tetragramma יהוה (yhwh) pron.YAHWEH) e sebbene si parli di deceduti le persone non sono annichilite, bensì riflettono un'esistenza limitata. In altre parole, similmente ai cadaveri deteriorati che sono "brandelli" del corpo, le persone situate nello sheol sono "frammenti" di sè stesse, sono ombre (רְפָאִים, repha'im) silenziose e separate dalle meraviglie di Dio. Proprio l'evocazione dello spirito di Samuele da parte del re Saul rafforza il senso di vita limitata precedentemente detto: il defunto profeta, nonchè ombra di sè stesso, ripete il messaggio che aveva affidato al sovrano durante la sua vita terrena (I Samuele:28). Rispetto alle descrizioni dell'oltretomba delle tradizioni egiziane e mesopotamiche, non esistono particolari dello sheol degni di nota da menzionare. Tuttavia, diversi passaggi biblici presentano lo sheol come avente degli "ingressi" (Isaia XXXVIII:10; Giobbe XXXVIII, Giona II;III:6). La stessa forza vitale (נפש, npsh) della persona discende (ירד, yrd) nello sheol quando questa muore. Siccome è il luogo dove risiedono sia gli empi che i giusti è denominato anche come la dimora dell'equità, tutti difatti qui sono uguali dai sovrani agli schiavi. Nella versione letteraria della Septuaginta, la traduzione in greco dell'Antico Testamento, la parola sh'wl è spesso tradotta come Ade ('Αδης, Adēs) che però non va confuso con l'omonima locazione dell'oltretomba nella mitologia greca. L'Ade nel Nuovo Testamento è distinto dalla Gehenna (γέεννα, geenna) che però nella lingua italiana sono tradotti entrambe, assieme a sheol, come inferno (dal latino infernu(m) con il significato di "sotterraneo"). La gehenna deve il suo nome alla Valle di Hinnom (in ebraico גֵּי הִנֹּם, gey hinnom), una valletta che segnava il confine tra la tribù di Giuda e quella di Beniamino. Il primo ad associare il toponimo della gehenna con l'ira e il giudizio divini fu il profeta Geremia a seguito del sacrificio a Molec dei figli reali da parte dei sovrani Acaz e Manasse. Il termine gehenna ricorre soprattutto nei vangeli sinottici come simbolo del giudizio escatologico divino ed è usato soprattutto da Gesù stesso con il significato retorico [1] di tormento fisico e spirituale per gli empi (Matteo V:29-30, Luca XII:5). La principale differenza tra l'ade (sheol) e la gehenna è che mentre il primo si riferisce sempre alla tomba o all'aldilà, la gehenna è sempre indicato come luogo di giudizio e tormento. Tuttavia, sarebbe un errore associare la gehenna al concetto proprio di inferno che si è delineato in tempi postbiblici, l'allusione al tormento nella gehenna è sempre e solo figurativo a differenza che nell'inferno come comunemente inteso nella dottrina cristiana. Non potrei concludere l'articolo senza menzionare che al concetto dello sheol nella scrittura è correlato anche il termine Abaddon (אֲבַדּוֹן, avaddon, Ἀβαδδών, Abaddōn), accennato in precedenza. Abaddon significa letteralmente "perire", "andare in rovina" ed è utilizzato in senso figurato per descrivere gli inferi. Nell'Antico Testamento ricorrono almeno tre casi dove la voce abaddon è menzionata assieme allo sheol (Giobbe XXVI:6, Proverbi XV:11; XVII:20). Inoltre nella Bibbia, specie nelle Scritture Ebraiche, abaddon è spesso personificato e reso come sinonimo di insaziabilità (Proverbi XVII:20), mentre nel Nuovo Testamento la parola ricorre una volta sola quando l'autore dell'Apocalisse, Giovanni, nomina l'angelo dell'abisso Abaddon o in greco Apollyon (Ἀπολλύων, Apollyōn; Apocalisse IX:11). 


                                           
             
l'antica concezione ebraica dell'universo: lo sheol è situato nelle profondità della terra appena sopra le fondamenta della stessa, sommerso dalle acque e sotto al quale vi era solo il grande abisso.



[1] Il fatto che Gesù non parla dell'inferno come comunemente inteso non significa che non sia presente come concetto. La Gehenna, infatti, non è l'inferno di per sè, bensì una sorta di giudizio temporaneo durante il quale si è giudicati rei in base alle azioni della propria vita e nel quale vi si giace fino al Giudizio Universale, la cui dimora finale sarà o "il mondo a venire" (עולם הבא, olam habah) oppure l'annientamento. Occorre menzionare tuttavia che la Gehenna era un luogo realmente esistente, nel quale si alimentava il fuoco per tenere lontani i fetori derivanti dalla combustione dei cadaveri e dei rifiuti. In tal senso, Gesù stesso potrebbe fare riferimento all'esistenza reale di questo luogo di tormento fisico e psichico sino a un tempo indefinito ma finito, e perciò non eterno come comunemente inteso nella letteratura classica. Soltanto in siffatta affermazione si può concludere l'esistenza dell'"inferno" (che è di per sè un termine neutro). I cristiani che affermano che l'inferno esiste non sono in errore, non più nè meno di chi afferma che esista la trinità. Difatti, anche la Trinità (dal latino Trinitas) deve il suo ingresso nella dottrina cristiana per opera di Tertulliano (155-230) ma il fatto che il vocabolo non è presente non compromette l'integrità della Bibbia. 


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